3 giu 2010

La questione dei due polli

Non so se durerà molto la pagina linkata essendo edita in televideo; comunque l'autore dell'intervista è un tale Francesco Chyurlia e la vittima (forse inconsapevole dell'esito dell'intervista) il direttore del Censis,Giuseppe Roma.

Una persona, che vorrebbe essere giornalista, durante un intervista al direttore del Censis, a proposito della crisi economica pone una domanda di questo tipo: "Ma i lavoratori non sono diventati più flessibili?" riferendosi alla capacità dell'Italia di superare la crisi e io, non so perché, resto allibito!

Consolare gli afflitti
Questa domanda distribuisce sofferenza e privilegi all'astrazione di una categoria (in questo caso: la categoria lavoratori in generale) estraniandola dagli individui in carne ed ossa che con le loro passioni e con le loro sofferenze vivono. Non chiede quali percentuali di essi siano in una condizione piuttosto che in quella opposta.
È l'antica questione di chi mangia due polli e chi nessuno, molto dibattuta tra chi conosce gli arcani della statistica e chi sicuramente ha due polli sul desco tutti i giorni e si sente appagato del fatto che tutti mangino almeno un pollo.

Cornuti e bastonati
Ignorare tale finezza concettuale significa inconsapevolmente dileggiare chi fa parte della percentuale di singoli che stanno soffrendo oltreché suscitare la loro rabbia: liquidare implicitamente la questione come se privilegi e dolori fossero distribuiti trasversalmente, facendo andare per il meglio, ci racconta la capacità non solo concettuale ma anche linguistica di costui. Il poveretto, essendo un capo servizio nella Rai, ha probabilmente uno stipendio di chi mangia due polli: come può rendersi conto delle condizioni di chi è costretto nella flessibilità? Sicuramente si sente meglio sapendo non soltanto di condividere statisticamente i due polli, ma anche di partecipare statisticamente alla sofferenza della flessibilità.

Come può un'assoluta superficialità e scarsa professionalità come questa, che ritengo non possa essere perdonata nemmeno se il giornalista è 20enne, godere dello status di NON flessibilità = Inamovibilità. Quante altre volte dovremo sentirlo inconsapevolmente deridere chi soffre?

Fame o griffe?
Domande del genere vanno forse bene a proposito della moda, dove si può chiedere se i giovani oggi sono più propensi a cambiare marca o a mantenere sempre le stesse griffe. Ricordo un'intervista a Peter Flower's negli anni '70 fatta da una mia compagna in veste di free lance: il "colui" affermò che i suoi prodotti erano adatti "a giovani che ormai sono diventati contestatori": nonostante avessi 18 anni mi aveva già fatto inorridire allora per la sua vacuità e il blob che era implicito in tale affermazione.
Allora il tizio era scusabile e forse poteva anche essere pertinente.

Oggi la stessa vacuità me la ritrovo riferita ad una sofferenza sociale!
Come sono cambiate le cose!

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